



L'enorme frana del riale Larecchia, caduta tra Mondada e Fontana nella notte tra il 29 e il 30 giugno 2024, ha trascinato con sè anche l'ultimo mulino ancora esistente in Valle Bavona. Era da poco concluso il restauro con la realizzazione dei componenti in legno. La sua inaugurazione era prevista il 15 settembre 2024.
Il vasto scoscendimento, stimato a 300mila metri cubi di materiale, ha travolto anche alcuni edifici abitativi, la strada carrozzabile e numerose testimonianze della vita rurale tradizionale: il ponte del Chiall, la Cappella degli Australiani, la Cappella d'Antönghia, il lavatoio, la selva castanile, parte della campagna con i suoi terrazzamenti e le sue callaie, vari prati pensili, splüi, stalle, passerelle, sentieri.
Alcuni elementi del mulino sono stati ritrovati e assemblati quali testimonianza di quanto successo. Grazie al contributo del Rotary Club Lenzburg, l'installazione si trova nel cortile del Museo di Valmaggia a Cevio.
Fino al XVII secolo circa, le Terre della valle erano abitate tutto l’anno: i mulini erano allora numerosi e facevano da pilastro per l’economia di sussistenza. Nelle carte di archivio, questi edifici sono più volte segnalati e se ne attestano una ventina tra Mondada e San Carlo. Oltre a quello di Dadò, a Fontana funzionava un altro mulino, andato distrutto nel tempo. Tale sorte è toccata anche agli altri edifici che utilizzavano la forza idraulica. Nella maggior parte dei casi il motivo della scomparsa va ricondotto a cause naturali quali alluvioni e frane. Fino a quando la popolazione è stata stanziale probabilmente a ogni distruzione corrispondeva una ricostruzione. Quando però è iniziata la transumanza dai villaggi di Cavergno e Bignasco, la molitura in valle ha perso sempre più importanza. A fine Ottocento solo tre mulini erano ancora in funzione.
Il mulino Dadò era alimentato dal flusso del riale Larecchia, che solca l’omonima valle. Dal riale, l’acqua si immetteva in una roggia, che serpeggiava lungo il pendio e garantiva l’apporto idrico per azionare il macchinario. Il Catasto cantonale delle acque pubbliche del 1895 attesta che l’allora proprietario Francesco Dadò faceva uso del mulino in primavera e autunno. Durante l’estate l’acqua veniva invece impiegata per l’irrigazione dei campi.
Nel 2020 la Fondazione aveva promosso il restauro dell'ultima testimonianza ancora presente in Val Bavona, proprietà del Patriziato di Cavergno. Il canale di adduzione dell'acqua del riale Larecchia era stato risistemato e pulito. Gli ingranaggi erano stati accuratamente ricostruiti grazie all'abilità di artigiani della regione e dall'estate 2023 questa ingegnosa macchina idraulica poteva nuovamente essere messa in funzione.
Il recupero era stato interamente documentato, di seguito alcune immagini e il filmato.
Archivio documentazione sul mulino