Per secoli, in Ticino le castagne sono state uno dei pilastri dell’alimentazione popolare, tanto che la Castanea sativa era chiamata l’«albero del pane». Del generoso castagno la civiltà contadina aveva saputo sfruttare al meglio tutte le parti: in primis i nutrienti frutti e il legname da ardere o da costruzione, ma pure il tannino per conciare le pelli, le foglie per lo strame e i fiori per produrre il miele con l’apicoltura. Non sorprende quindi che le aree attorno ai villaggi, anche in Val Bavona, fossero coltivate con molti castagni.
Nella selva castanile gli alberi erano messi a dimora ben distanziati tra di loro e sul terreno non coltivato, se non era ricoperto da massi come spesso in Val Bavona, vi cresceva quasi solo erba, che veniva falciata o pascolata dal bestiame.
Per ottenere il massimo rendimento le selve erano gestite con cura e il sottobosco veniva pulito regolarmente per evitare infestanti. Le foglie secche, accuratamente rastrellate, divenivano foraggio o lettiera per il bestiame e i vecchi ricci si bruciavano o si ammassavano in buche dove marcivano. Con impegno si tagliavano i ricacci alla base del tronco e si potavano i rami secchi. Gli innesti permettevano la produzione di molteplici qualità di frutti, ognuna delle quali con caratteristiche proprie: più dolci, più grosse, a maturazione lenta.
Se oggigiorno hanno perso la loro funzione originaria, le selve sono comunque considerate serbatoi di biodiversità, perché garantiscono l’habitat vitale per un elevato numero di animali e piante. I castagni offrono pure un apporto didattico in quanto facilitano la comprensione della vita di un mondo contadino ormai scomparso, grazie ad attività pratiche che la Fondazione regolarmente propone, soprattutto nell’ambito di Laboratorio Paesaggio.
A partire dal 1950, l’abbandono della gestione agroforestale ha causato l’inselvatichimento di molte superfici. Dal 2000 la Fondazione ha avviato progetti di valorizzazione di alcune selve castanili nelle località di Mondada, Fontana, Sabbione e San Carlo per una superficie totale di oltre sette ettari.
In generale la gestione di tutti questi terreni è garantita dalla Fondazione attraverso accordi con gli agricoltori locali, ma anche grazie alla collaborazione di volontari.
Conclusosi nel 2017, l’intervento di Sabbione è un ottimo esempio di selva situata a corona di un nucleo, il cui perimetro racchiude un mosaico diversificato di massi, costruzioni sotto roccia, muri a secco, ma soprattutto castagni, anche di notevoli dimensioni.